La vicenda triste dell’agente della Polizia di Palazzolo e gli hater social.
Si è tolto la vita sparandosi con la pistola di ordinanza. Un uomo che riveste una funzione pubblica, conosciuto tuttavia anche per l’impegno civico, parcheggia l’auto della Polizia in un posto riservato ai disabili, a Bergamo. Un signore, che difende i diritti dei disabili non sempre rispettati dagli automobilisti, fotografa l’abuso, lo posta sui social. Lui forse non lo sa, o forse non ci pensa, o non crede necessario andare dalla Polizia a denunciare l’abuso. Fatto sta che dalla denuncia alla gogna sui social il passo pare essere – purtroppo – fin troppo breve.
L’agente ammette lo sbaglio, si scusa, si multa, sottoscrive una piccola donazione per l’associazione dei disabili, ma la valanga non si ferma. Tutto questo non ferma la social-gogna perché nessuna ragionevolezza può fermare la sua energia di valanga, a meno che non venga bloccata da chi ha il potere di gestione dell’algoritmo. E il vigile si ammazza, travolto dalla vergogna, qualsiasi siano le sue altre private ragioni per questo gesto estremo e terribile.
Perché il popolino si scatena senza remora alcuna e così tanto di fronte alla gogna? Nella gogna funziona un cortocircuito primitivo che afferma: “quello che si vede è l’unica cosa che c’è”, come scrive il neuroscienziato Daniel Kahneman, ovvero: poiché ha compiuto quel dato atto, la persona diventa l’atto, e quindi il male assoluto. La parte più arcaica del cervello umano cerca sempre di appropriarsi degli errori altrui trasformandoli appunto in male assoluto perché conosce solo la paleolitica logica duale manichea. Mentre, quando si tratta dei propri errori, il cervello di colui ne è responsabile, stando nei propri panni, trova sempre delle buone ragioni per assolversi. I social, quindi, come avviene sempre per tutte le invenzioni umane, è una opportunità di evolvere tanto quanto di ribadire i nostri lati peggiori. Che buon pro ci faccia.