Cercare significati è il frutto imprevisto dell’evoluzione biologica in coscienza.
L’evoluzione è stato, ed è, un processo di riprogrammazione darwiniana, casuale, adattiva, selettiva. Poi è avvenuto un cambiamento quantico, quando essa è andata a infilarsi nel vicolo del genere Homo, in cui la funzione “intelligenza”, già variamente emersa in animali superiori, si è decisamente e definitivamente assemblata nella funzione “coscienza”.
La coscienza ha visto, come le pitture rupestri dimostrano, la cecità dell’evoluzione biologica. Quel risveglio della coscienza è stato un momento traumatico per l’intelligenza, un affacciarsi sull’abisso del buco nero del cosiddetto “slancio vitale”, ovvero quella pulsione cieca della natura a procedere senza fine nel suo bricolage.
L’intelligenza è divenuta cosciente di non essere che parte di una impetuosa corrente deterministica. Si è ritratta, si è spaventata, ha fatto un passo indietro. Si è fermata dall’osservare le altre creature e si è guardata dentro proprio nell’atto di osservare, si è aggrappata a questa propensione come un’ancora di salvezza, ed ha cominciato ad assemblare fra loro combinazioni di forme, eventi, vicinanze e lontananze, tempi. Questo gioco si è rivelato interminabile, capace di placare l’angoscia dell’abisso. Ed è nato così il grande daffare chiamato “significato”, “avere e dare senso”, scopo, sapere, accumulo, potere, ordine, conoscenza, arte, missione, riparazione e giudizio, ed infine progresso. (M. P.)