Una filosofia sulla pandemia.
Fino a ieri ci limitavamo a guardare con angoscia il progressivo degradarsi della Terra. Un terribile futuro che riguardava i suoi ghiacciai, la sua atmosfera, le sue risorse, i suoi mari, e le conseguenze che ne venivano a noi. Questa visione era nel contempo accompagnata da un certo qual ottimismo in noi stessi. Di qua noi, con la nostra consapevolezza, di qua la Terra che noi dovevamo salvare. Con i nostri comportamenti avremmo potuto salvare la Terra e mantenere abitabile e gradevole la nostra casa.
Il coronavirus ha buttato all’aria questo paradigma. Ci ha tolto ogni illusione richiamandoci alla realtà del nostro essere in una condizione identica a quella del pianeta Terra. Il pianeta Terra siamo noi. Noi stessi siamo in una condizione precaria, chiamati a sopravvivere all’evoluzione, riprogrammando noi stessi. Un’altra specie, quella dei microorganismi, sta dimostrando il suo potere capace di minare la nostra esistenza. Siamo noi stessi un universo organico in pericolo, già attestati, forse, nelle trincee della resistenza.
Non ci possiamo più illudere di guardare a noi stessi come i redentori della Terra, purché ci pentiamo delle nostre colpe. Noi stessi abbiamo bisogno di essere redenti. E poiché non vi sono all’orizzonte altri liberatori, tali dovremo esserlo noi stessi. Ma con una consapevolezza nuova. I nostri comportamenti avranno bisogno di passare attraverso una fase di quarantena globale: ritenere noi stessi come portatori epidemici sulla salute degli altri umani, sulle altre vite viventi, sulle radici stesse dell’economia.